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Piantare tanti alberi per salvare la collina che frana

Sabato 14 marzo 2011, presentazione a Trento del libro-intervista «Il nostro Sud in un Paese reciprocamente solidale» di GianCarlo Maria Bregantini e Paolo Loriga.
Una coincidenza? I quotidiani di Trento, proprio quel sabato, titolavano così le prime pagine: “La ’ndrangheta in Trentino”. Allarme e preoccupazione nel mondo imprenditoriale: “Non siamo più un’isola felice e chi è in difficoltà finisce nelle mani degli usurai”.
 

Un brivido che attraversa anche i cittadini, tra cui una vivace classe dell’ITI di Pergine, che gremiscono la bella Sala della Filarmonica per l’attesa presentazione del libro-intervista «Il nostro Sud in un paese (reciprocamente) solidale» di mons. Bregantini e Paolo Loriga, edito da Città Nuova, incontro moderato dal presidente dell’Ordine dei giornalisti del Trentino Alto-Adige Fabrizio Franchi. Anche la Città nelle sue istituzioni è presente attraverso l'Arcivescovo mons. Luigi Bressan e l’assessore del Comune alla Cultura Lucia Maestri.

“No, il Trentino non è contagiato dalla mafia, ma ne è insidiato. E non bisogna sottovalutare il rischio» ha esordito mons. Bregantini rispondendo a una delle prime domande. La platea segue con estrema attenzione. Lui, originario della trentinissima Val di Non ma con radici nel profondo Sud porta una parola impreziosita dall’esperienza. «La cultura positiva e cooperativistica del Trentino può respingere la realtà mafiosa”.

Non si può però né estremizzare né generalizzare. “In Calabria abbiamo imparato che dire «tutto è mafia» porta al risultato opposto». Ossia «niente più è mafia». Però l’insidia c’è. Occorre essere vigili. Occorre parlare, bandire l’omertà, discutere, verificare. Per questo ipotizza la necessità di un confronto fra società civile assieme alle banche. “La mafia infatti è attratta da territori ricchi e, come nel caso del Trentino, appetibili; individuano aziende in difficoltà con bisogno di liquidità e il gioco è fatto».
Ma mons. Bregantini non ha dubbi: ovunque la mafia può essere sconfitta. «Bisogna intervenire ai primi segnali per evitare che il male si diffonda. Senza paura, perché la mafia si nutre della nostra paura. Bisogna svuotarla dall’interno, non affrontarla di petto».

Un ragazzo dice la sua indignazione perché l’approfondimento della sua classe sulla mafia, esposto in cartelloni nella loro scuola, era stato deriso dai compagni più grandi. «Ecco - ha detto Bregantini - dove si vince la mafia: nella scuola, tra i ragazzi. La derisione, il dire “non serve a nulla” sono i veri guai: la mafia non si combatte con le sue armi, ma con quelle della cultura, dell’intelligenza e il gusto del bello”.

Tanti i temi trattati, anche scomodi, il rapporto tra la chiesa ed il potere, la riforma federale, la politica, come andare controcorrente in una società dell’indifferenza. Un dialogo incalzante, arricchito dagli interrogativi schietti dei giovani. Il dialogo di un maestro in ascolto che con chiarezza disarmante su problemi molto vasti ha appassionato i presenti al fattore R: la reciprocità.

Tre i passaggi per lui essenziali: la marginalità delle cose che non deve trasformarsi in emarginazione; la tipicità che porta a conoscere e appropriarsi della propria storia; infine la reciprocità che mette in relazione e sprona a guardare solidariamente l’altro. Tre passaggi tra loro collegati per costruire una società più equa, più secondo il pensiero di Gesù. E per Bregantini «il Sud difetta in tipicità e spesso si piange addosso, mentre il Nord difetta in reciprocità».

La sua appare una strategia, spiegata attraverso esperienze di vita e di incontri, con chiaro riferimento evangelico. Un richiamo forte agli interlocutori a sentirsi in prima persona cittadini responsabili ed attenti.

«La mia - dice - non è una lotta contro la mafia o contro qualcuno, ma una lotta per la gente e per la speranza”. E lo precisa con un’immagine. «Una collina che frana si argina prima di tutto con un forte muro alla base, ma non basta. Sulla collina vanno poi piantati tanti alberelli che con le loro radici bloccano il terreno. Non bastano i preti anti mafia, servono anche tante coscienze che piantino radici su quella collina».



Chiara Lubich

Nasce a Trento il 22 gennaio 1920, seconda di quattro figli.
La madre è fervente cattolica, il padre socialista.
Nell’imperversare della seconda guerra mondiale, sul crollo di ogni cosa, comprende che solo Dio resta: Dio che è Amore. La sua vita si trasforma. Lo sceglie come unico Ideale. 

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