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Dalla “Baia Azzurra”

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Tullia e Luigi Nodari, insieme alla famiglia, sono imprenditori. Hanno nel sangue la spinta a ‘creare impresa’ e ‘produrre beni’… La loro azienda è un albergo sul Lago di Garda “Baia Azzurra”…

Diteci, come nasce l’albergo Baia Azzurra come lo conosciamo oggi?

Luigi: L’avevamo ereditato dai miei genitori, lo portavamo avanti meglio che potevamo, attenti ai dipendenti, ai clienti, con l’impegno di amare gli altri... Ma ad un certo punto c’è stato un “passo nuovo” per noi…
Tullia: Ad un certo punto veniamo informati del progetto dell’Economia di comunione. Capiamo che il nostro impegno nell’albergo non doveva più essere solo di tipo produttivo, ma qualcosa che coinvolgeva tutta la nostra vita. Quegli utili che facevamo non dovevano essere solo affare, o pensati per i nostri figli, ma avere una motivazione in più. Dovevano avere un “per” attivo, che andasse oltre ad un’azienda da rendere sempre più competitiva (come premono i nostri figli… si sa che i giovani guardano sempre avanti!). In pratica, l’Economia di comunione ci ha portato ad scoprire nell’economia una forza propulsiva “per” gli altri.
Luigi: E abbiamo iniziato a fare delle esperienze: atti disinteressati che poi si sono dimostrati innovativi. Così quando ho scritto delle informazioni riguardanti i surfisti, come funziona il vento, quali le tendenze del tempo…, due semplici pagine che poi si sono dimostrate un business: infatti noi andiamo avanti solo se facciamo contente le persone, perché ritornano ancora al “Baia Azzurra”.
Un altro stimolo molto forte in me (e anche nei miei figli) e che poi produce “affare” è cercare il bello. La gente si siede dove c’è armonia, dove trova bello. Infatti ho sentito dire una volta da Giovanni Paolo II che “il bello salverà il mondo”, e questa frase me la sono portata via… Poi le iniziative per migliorare le cose non sono fatte a tavolino, ma ascoltandoci tanto fra noi, come è successo recentemente per l’illuminazione esterna dopo una osservazione fatta da mio figlio più piccolo.

Le idee dell’Economia di comunione vi hanno suggerito in qualche modo un cambio nella conduzione della vostra azienda?

Luigi: Sì e direi anzitutto nella gestione: l’albergo infatti non sono le mura, ma sono le relazioni, i rapporti che si vivono dentro. Intanto con i clienti: quando arriva uno e gli chiedo “ha fatto buon viaggio?” non lo faccio come formalità o buona educazione, ma pensando che è stanco e che voglio sollevarlo. Ovvio che penso anche a vendergli la mia camera, ma non è questa la spinta ad agire. Ciò che mi realizza e mi fa sentire contento alla sera è se ho fatto qualcosa di buono e positivo nella giornata.
Tullia. Poi c’è il rapporto con il personale. Altrettanto importante. Cerco di essere sempre attenta ai loro bisogni extra lavoro. Magari vedo una un po’ triste... Cerco di esserle vicina… Succede poi che, ad esempio, sto estendendo la biancheria e l’una o l’altra mi si avvicina, mi racconta delle preoccupazioni che vive, delle sfide che la vita presenta loro…
Luigi: E poi ci vuole anche la correzione, l’accompagnamento, il fare delle osservazioni se necessario. Tuttavia ciò mi era difficile farlo senza rischiare di rompere il rapporto, e per evitare di correre questo rischio preferivo sorvolare… Ma ho capito che anche l’osservazione è un momento di crescita professionale e che si può crescere insieme: io come principale perché devo capire ciò in cui dobbiamo migliorare; l’altro perché messo nella condizione di fare un passo in avanti. Insieme. E’ un po’ una novità: i dipendenti – in genere - non sono abituati ad entrare in relazione con il principale, al di più eseguono le tue indicazioni, ma il rapporto è molto di più che dare ordini o eseguirle...
Tullia: Un giorno mi è arrivato un giornale con idee per predisporre sul tavolo i tovaglioli… L’ho detto alle ragazze invitando loro a sfogliarlo, ma anche senza pretendere che cambiassero la disposizione come sarebbe piaciuto a me. All’indomani ho trovato i tovaglioli messi in una maniera nuova e davvero carina… E’ stata una gioia e una soddisfazione per me e per loro.

Voi siete gli imprenditori. Chi prende le decisioni?
Tullia:
In noi due e nei nostri tre figli è cresciuta la volontà di parlare delle cose che riguardano la azienda dicendoci i rispettivi punti di vista, anche discutendo a volte, ma senza smettere di ascoltarci finché non siamo arrivati ad un’idea comune. Nessuno prende una decisione per conto proprio. Neanche Luigi. Mai. Non esiste.
Luigi: Da tempo avevo la voglia di migliorare ad esempio il servizio della cena. Notavamo infatti che nei momenti iniziali si produceva una certa confusione. Ne abbiamo parlato tra noi. Migliorare le cose comportava un cambiamento e un ulteriore investimento: sarebbe stata necessaria una nuova figura, uno o una caposala che desse qualità al servizio…
Tullia: Prima di pensare però a una persona esterna dovevamo valorizzare i nostri dipendenti e dar loro fiducia. Ne abbiamo parlato ancora con loro, con calma, e glielo abbiamo proposto alla più anziana. Ha accettato la nuova responsabilità. Lei era contenta e anche noi di veder crescere in qualità il nostro personale.
Luigi: Ora con questo miglioramento del servizio, con le candele sui tavoli, con una maggiore armonia, davvero gli ospiti potranno fare all’aperto una ‘cena da sogno’. Lo avevo sempre desiderato, ma attendevo che tutti insieme maturassimo… Infatti non lavoriamo con i pezzi ad incastro, ma con persone, in modo da essere un'unica armonia. E ciò non è facile, perché il lavoro dei rapporti è il più esigente ed il più impegnativo. E se l’armonia scatta i clienti lo percepiscono. Si sentono bene, quasi come in una famiglia. Non sanno definirlo perché è una novità. Questo amore disinteressato è la nostra carta vincente anche come business. Infatti, abbiamo sempre nuovi clienti mandati dai vecchi.
Tullia: E cerchiamo di mantenere un buon rapporto anche con i concorrenti. Succede che ci arrivano magari più persone dei posti disponibili e telefoniamo agli uni o agli altri alberghi vicini per presentarglieli.

Le aziende dell’Economia di comunione destinano i loro utili secondo tre finalità: far crescere l’impresa, formare uomini nuovi, sovvenire chi si trova nell’indigenza. Volete dirci qualcosa su come fate voi?
Tullia:
In questi anni una parte consistente degli utili l’abbiamo fatta circolare attraverso la dichiarazione dei redditi secondo le finalità del progetto Economia di comunione.
Da un anno poi è iniziata un’altra novità.
Luigi: Sì. Dall’Economia di comunione io ho capito una cosa: che Dio opera con noi. Questa convinzione mi ha fatto per così dire ‘alzare da terra’. Io nutrivo da sempre un sogno: che la “Baia Azzurra” desse vita altrove a qualcosa di nuovo e desse uno scopo più alto al nostro lavorare qui. L’occasione ce l’ha data l’aver conosciuto delle persone durante alcuni viaggi in Birmania: gente meravigliosa, discreta, rispettosa, ma ridotta alla povertà da un sistema di ferro.
Un Paese che ha molto sofferto e soffre per una durissima situazione politica. Sconosciuto per molti e dimenticato dalle potenze del mondo, è saltato alla ribalta per la protesta silenziosa e determinata dei monaci buddisti, con le violenze che sono seguite.
I nostri rapporti con le persone conosciute sono cresciuti e, constatando la mancanza di speranza per il futuro, ci è venuto il desiderio di fare qualcosa. Quel “Dio opera con noi” imparato dall’Economia di comunione mi ha fatto osare e partire per la Birmania per capire se e cosa poteva essere opportuno fare. Ho consultato i miei figli. E tutti “Vai!”. Ma non ho voluto andare da solo: “Matteo, vieni con me!”. Ed è stato un viaggio da romanzo, pieno di mille avventure per prendere i primi contatti, a cui sono seguiti altri…
Tullia: Le difficoltà sono state innumerevoli e di svariato genere… Avviare un'azienda in un paese con enormi problemi economici, sociali e politici sembrava una pazzia, ma è stato palese l'intervento del “Socio nascosto” della nostra azienda, intendiamo Dio Padre, attraverso dei segni e dei fatti provvidenziale e ‘inattesi’...
Luigi: Ad esempio, a conclusione di un viaggio dove si erano ventilate alcune proposte lavorative resesi poi di fatto impraticabili, durante la serata di addio con alcuni amici nello scambio tra tutti si accende una lampadina: e perché non una gelateria ad Yangoon? In un paese caldo il gelato si mangia volentieri tutto l'anno, i prodotti base si trovano sul mercato, il latte fresco c’è, perciò il gelato sarebbe stato genuino e anche nutriente…

Allora detto e fatto?
Luigi: Tullia riparte per l’Italia ed io resto a Yangoon ancora una settimana. Giro la capitale in lungo e in largo per capire se ci sono gelaterie e come funzionano. Cerco ancahe l’attrezzatura necessaria perché importare è proibito. La sera del secondo giorno, un po’ scoraggiato, mi fermo su una strada dinanzi ad una porta nera, dietro la quale - mi avevano detto - poteva esserci un fornitore. Dubito ma entro ugualmente. Con mia grande meraviglia, trovo fra i rottami un vecchio Carpigiani, un’ottima macchina in disuso di marchio italiano per fare gelati. Vi troviamo anche un pastorizzatore. Mi sembra sia stato Dio a condurmi per le strade della città sino a quella porta nera. E’ per tutti gli amici birmani e per noi il “segno” che la gelateria non è più solo un sogno.
Prima di fare ritorno in Italia si stilla un programma di lavoro: la cosa più urgente è trovare un luogo fornito di corrente elettrica stabile dove fare e vendere il gelato (miraggio in una città dove la maggior parte dei quartieri ha corrente solo a giorni alterni!).
Rientrato a Trento penso: ora occorre che impari io a fare bene il gelato (e con macchine di almeno 50 anni fa!) per poterlo insegnare agli altri in Birmania. Un giorno, dopo averne girato tante, entro dal di dietro in una famosa gelateria di Riva del Garda e mi presento, spiego il tutto e la risposta del capo, diventato pezzo chiave in questo meraviglioso mosaico, è: “Non c’è problema! domattina vieni alle 8.30 e ti insegniamo! Anzi, vado in pensione in settembre e verrei volentieri con te in Birmania per aiutarti!”.
Questo è solo un esempio. Ma il cercare di andare fino in fondo, con coerenza, in ogni aspetto che si andava presentando ci dava una grande gioia!

Le avventure portano con sé fatiche, tentennamenti, oltre a raggiungere traguardi. E per voi?
Tullia: Ci sono state molte avventure (con altrettante disavventure) e sarebbe bello raccontarle, ma ci vorrebbe molto tempo. Nel tempo è stato possibile far entrare nel Paese, per vie provvidenziali, un nuovo pastorizzatore. E poi lo scrematore (arrivato dalla Polonia!). Era però necessario trovare a Rangoon un manutentore. Cosa che è avvenuta, sempre per vie singolari, nella persona niente di meno! che di un artigiano (mangiapreti) originario della Valsugana e residente in Birmania. Ha fatto suo il nostro progetto e addirittura ha voluto procurare un albero di nocciole per aggiungere un nuovo gusto ai gelati.
Ci sono state delle difficoltà, certo! A volte anche nel prendere decisioni tra noi in famiglia riguardo i soldi da destinare alla attività in Birmania (i viaggi costano!). Poi malattie dei figli, ristrutturazione della casa…, i problemi della vita di tutti. Ma non di rado accadevano proprio mentre io ero a casa da sola e Luigi risolveva inghippi a Yangoon… Occasioni importanti tutte per affrontare le ‘grane’ non da soli, ma affidandoci al Padre Eterno. E quindi aperti alla speranza.
Oggi comunque la gioia è che la gelateria “Sole” produce gelato “italiano” genuino. Vi lavora con competenza un team di 4 persone che ha imparato perfettamente il mestiere. E’ un sogno per noi, ma lo è anche per molti. Spesso delle persone passano dalla gelateria solo per vedere con i loro occhi se essa è proprio vera.
E le cose vanno avanti. Si punta ad organizzare una vendita di gelato anche nei quartieri più poveri, tramiti carretti spinti da biciclette. Ciò procurerà lavoro per altri giovani e alimento nutriente per molti bambini. Ma chissà come le cose potranno andare avanti!
Luigi: In tutto questo sono state molte le occasioni per constatare che davvero Dio è all’opera con noi. Non è catechismo; è esperienza! Prima avevo la spinta a mettermi in gioco ma non avevo il coraggio. Ora osso farlo perché, pur tra fatiche, ho fatto l’esperienza. E non si parte con 35 anni, ma con 64 e a quest’età non è semplice imparare un nuovo mestiere: il gelataio! ma lo faccio volentieri, non per soldi, certo! Mi par di realizzare un “sogno”: vedere l’umanità sempre più famiglia. Da qualche parte bisogna cominciare; io ne ho trovato questa. E’ una rivoluzione. E lo è anche per i nostri figli!