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INFORMAZIONI SUL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

degli utenti che consultano il sito web del Centro Culturale Trentuno Onlus per la protezione dei dati personali ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679  

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L’Informativa, in particolare, riguarda esclusivamente il sito ufficiale di Trentoardente: pertanto non riguarda eventuali altri siti raggiungibili dall’utente tramite i link presenti sullo stesso.

IL “TITOLARE” DEL TRATTAMENTO

Il “titolare” del loro trattamento – ovvero la persona giuridica che determina le finalità e i mezzi di trattamento dei dati personali- è il Centro Culturale Trentuno Onlus con sede legale in Trento (TN – Italia), 38121 - Corso 3 Novembre, 46.

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IL RESPONSABILE DELLA PROTEZIONE DEI DATI

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LUOGO DI TRATTAMENTO DEI DATI

I trattamenti connessi ai servizi web di questo sito hanno luogo presso i server della società Aruba S.p.A. nella webfarm di Arezzo e sono curati solo da personale tecnico incaricato dal titolare del trattamento, oppure da eventuali incaricati di occasionali operazioni di manutenzione, sotto l’autorità diretta del titolare del trattamento.

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TIPI DI DATI TRATTATI

Trattiamo due tipi di dati:

– dati di navigazione che raccogliamo automaticamente

– dati forniti dall’utente

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Dati di navigazione


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PERIODO DI CONSERVAZIONE DEI DATI

Salvo che per i dati forniti volontariamente dall’utente per specifici servizi, per i quali saranno rese specifiche informative, le informazioni relative alla navigazione verranno conservate al massimo per quattordici mesi successivi alla raccolta; salvo il caso in cui debbano essere utilizzate per l’accertamento di responsabilità in caso di reati informatici a danno del sito; in questo caso le informazioni verranno tenute a disposizione dell’Autorità per il tempo necessario a garantire al Centro Culturale Trentuno Onlus l’esercizio dei propri diritti di difesa.

 

FINALITÀ E BASE GIURIDICA DEL TRATTAMENTO

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Il loro mancato conferimento può comportare l’impossibilità di ottenere quanto richiesto.

 

MODALITA’ DEL TRATTAMENTO

I dati personali sono trattati con strumenti automatizzati per il tempo strettamente necessario a conseguire gli scopi per cui sono stati raccolti.

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DIRITTI DEGLI INTERESSATI

La Normativa Applicabile riconosce agli utenti una serie di diritti tra cui, a mero titolo esemplificativo, il diritto:

(i) di accedere ai propri Dati Personali

(ii) di chiederne la rettifica

(iii) l’aggiornamento e la cancellazione, se incompleti, erronei o raccolti in violazione della legge

(iv) di chiedere che il trattamento sia limitato ad una parte delle informazioni che li riguardano

(v) di trasmettere agli stessi o a terzi da questi indicati le informazioni che la riguardano (c.d. “portabilità dei dati”)

(vi) di opporsi al loro trattamento per motivi legittimi

(vii) di revocare il proprio consenso in qualsiasi momento mediante richiesta scritta rivolta senza formalità al  Centro Culturale Trentuno Onlus  ai contatti indicati.

IlCentro Culturale Trentuno Onlus ricorda che, laddove il riscontro alle richieste non possa essere stato considerato soddisfacente, l’utente potrà rivolgersi e proporre reclamo all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (www.garanteprivacy.it) nei modi previsti dalla Normativa Applicabile.

 

FORNITURA DEL RISCONTRO ALLE RICHIESTE DELL’INTERESSATO E RECAPITI 
IlCentro Culturale Trentuno Onlus  svolge, inoltre, funzioni di responsabile del trattamento, anche ai fini del riscontro da fornire all’interessato per l’esercizio dei diritti di cui al Regolamento (UE) 2016/679 (“GDPR”).

Al Centro Culturale Trentuno Onlus  è dunque possibile rivolgersi per ogni richiesta, chiarimento o riscontro sull’applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali e per il concreto esercizio dei diritti dell’interessato, meglio indicati nel precedente paragrafo, anche nel caso in cui si renda necessario provvedere all’aggiornamento, alla modificazione, all’integrazione, alla correzione e/o alla cancellazione dei dati, come previsto dal dettato normativo o in relazione alla valutazione delle specifiche esigenze esplicitamente prospettate dall’interessato.

A tal fine, per agevolare l’interessato nell’esercizio dei propri diritti e nell’interazione con il Centro Culturale Trentuno Onlus, si forniscono i seguenti recapiti a cui rivolgersi in caso di reclami:  indirizzo e-mail:  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. Centro Culturale Trentuno Onlus –38121 Trento (TN – Italia), Corso 3 Novembre, 46.

Informativa estesa sui Cookies

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La mia fame spariva nel vedere la loro gioia

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MARILEN - MARIA ELENA HOLZHAUSER  (1924-1986)

 

A me sono state affidate due famiglie. Non si trattava di fare loro la carità, o di andarle a visitare portando una busta di denaro. Si trattava di risolvere radicalmente la loro situazione e portarle almeno ad un livello di autosufficienza.

Una famiglia era composta da cinque persone: il papà, ammalato e quindi senza lavoro, la mamma e tre bambini in una casa quasi priva di mobilio. Con altre tre ragazze della comunità abbiamo deciso il da farsi. Il papà, che era sempre seduto in un angolo della cucina, l'abbiamo affidato a un medico, che l'ha curato e l'ha portato a rendersi utile in casa; per la mamma è stato trovato un lavoro presso un dentista; i bambini, che a scuola faticavano, sono stati seguiti da una di noi, al pomeriggio, nel fare i compiti; nella cantina di casa mia ho trovato un vecchio mobile per la cucina, ancora in buono stato: rimesso a nuovo, è servito a sistemare la cucina, che per loro fungeva anche da soggiorno. Dopo qualche mese quella famiglia non ebbe più bisogno di essere aiutata, si era risollevata completamente, era economicamente indipendente e parte viva della comunità.

L'altra famiglia a me affidata era francese: una mamma vedova con tre bambine. Non c'era niente in casa per mangiare, ma sul tavolo la radio era sempre accesa. La cosa mi faceva un certo effetto, consideravo la radio una spesa inutile. Ma non si poteva giudicare: il povero era Gesù! Quel povero era privo di tutto... aveva solo una radio per non sentire la tristezza della povertà e la solitudine in una terra straniera.
Andavo da loro quasi ogni giorno. Erano sempre sole: la mamma mi accoglieva con le lacrime agli occhi e le bambine sembrava aspettassero solo quel momento. Portavo quello che riuscivo a raccogliere, oppure il mio pezzo di formaggio o di dolce. La mia fame spariva veramente quando vedevo la gioia di quelle bambine. Il rapporto che si stabiliva con loro mi faceva vedere che la comunione di tutti i beni, materiali e spirituali, era possibile. Avevo sempre sofferto per l'indigenza degli altri e per l'incapacità di trovare una soluzione ad essa. Ora si era accesa nel mio cuore la speranza!

Capivo le parole di Chiara: "Dio è Padre. Sulla terra ha messo da mangiare e da vestire a sufficienza per tutti i suoi figli. Se ci volessimo bene, tutto sarebbe risolto".
Quella piccola cerchia di persone di ogni età e condizione me lo confermava. Ora bastava allargarla, far capire a tutti che il povero è Gesù e trattarlo come tale.

 

da: "Marilen - semplicemente vivere" a cura di Ilaria Pedrini - Città Nuova Editrice, Roma 2000, pag 35-36

 

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Come ho conosciuto Chiara

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IOLANDA DUCCIA CALDERARI  (1911-2009)

 

Devo dirvi come ho conosciuto Chiara e gli inizi del Movimento, quando non era ancora tale... ma per noi tutti era "l'Ideale". Andiamo molto indietro nel tempo, al '43-'44.
A Trento c'era la guerra. Subito dopo il primo bombardamento sulla città, c'erano state molte rovine, morti e anche tanti feriti. Essendo infermiera della Croce Rossa, sentii mio dovere di presentarmi subito in ospedale: c'era bisogno di molto aiuto e vi rimasi a servizio nei rifugi, fino alla fine delle ostilità.

Fu in occasione di una sirena d’allarme, che uscendo di casa per correre nel rifugio, sono impressionata, stupita, dal comportamento strano, inconsueto, di un gruppo di ragazze, al di là della strada. Anziché pensare di mettersi in salvo, come facevamo noi - perché, fra il resto, molte volte, quando suonava la sirena di allarme, avevamo già sulla testa gli apparecchi – queste, durante il tragitto si soffermavano a dare aiuto a persone nel bisogno: prendevano sotto braccio vecchine incapaci di correre, oppure soccorrevano una mamma con quattro o cinque bambini... Rimango così impressionata da questa carità, diciamo, eroica, sprezzante del pericolo, che mi riprometto subito di prendere contatto con loro. tanto più che in mezzo ad esse, avevo riconosciuto Chiara, che mi era stata presentata alcuni giorni prima.

Infatti, nel reparto ospedaliero dove lavoravo, c'era un giovane studente medico, il quale mi aveva confidato: “Fare il medico non è il mio solo lavoro, ho anche un'attività di carattere politico-sociale, ma clandestina”. E a quell’attività ben presto mi aggregai anch'io. In quell'epoca la nostra città era invasa dalle S.S...

Un giorno il mio amico medico mi confida: “Ho una sorella che amo e stimo molto, vorrei presentartela… Vedi un po' se riesci ad attirarla alla nostra causa”. Me la fa conoscere: era una ragazza giovane, semplice, però subito avevo notato in lei una personalità molto dignitosa, ed ero rimasta impressionata dal suo sguardo tutto interiore. Mi ascolta fino in fondo, poi mi dice: “Il vostro ideale è molto bello, però non posso dirvi di aderire subito, perché appartengo all'Azione Cattolica e devo chiedere il permesso alla mia presidente”. Così l’avevo conosciuto e adesso me la trovavo di fronte a casa mia.

Dopo una prima visita, confesso che quasi quotidianamente andavo a trovare queste mie nuove compagne, diventate subito amiche. Loro abitavano in un appartamentino molto piccolo, arredato rudimentalmente: una fila di brandine, un grande tavolo e alcune sedie, alle pareti un solo quadro, raffigurante il volto straziato di Gesù morente. Avevo subito capito che quell'immagine era il loro Amore, il loro tutto, il loro scopo, la loro vita.

Mi accoglievano sempre festosamente, nella gioia, anche se fuori infuriava la guerra. Ma io ero soprattutto attirata dal fatto che mi mettevano al corrente di quello che leggevano nel vangelo. Il vangelo, dunque. Ma io lo conoscevo? Forse, vi confesso, non lo avevo mai letto. E' ben vero che la domenica in chiesa un sacerdote ne leggeva un brano che poi commentava: le persone più devote ne avrebbero riportato dei buoni propositi, che sarebbero poi durati due, tre giorni, ma tutto finiva lì. Queste ragazze, invece, mi accorgevo, non solo lo leggevano, non solo lo commentavano, ma immediatamente lo mettevano in pratica frase per frase, alla lettera, senza annacquamenti, senza attribuzioni. Questa era la novità, era ciò che mi affascinava.

Un giorno Chiara mi accoglie più festosamente del solito: “Senti che cosa abbiamo letto nel vangelo: ‘Vi do un comandamento nuovo, amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi’ - poi continua - E' quel ‘come’ che ci dà la misura, Gesù come ci ha amati? Donando la vita per noi”. Vi fu un silenzio generale, poi a un certo punto una vocina alla mia sinistra, una di loro: “Ma io sono pronta sai a donare la mia vita per te!”. Poi alla mia destra un'altra: “Ma io sono pronta sai a morire per te!”. “E tu?” “E tu?” “E tu?”. Tutte eravamo pronte a donare la vita una per l'altra.

Si presenta alla “casetta” (non esisteva ancora il nome “focolare”) un povero a chiedere l'elemosina. Esse lo accolgono e aprono la loro piccola dispensa. Si ricordavano di aver letto nel vangelo: "Tutto ciò che avrete fatto al minimo dei miei fratelli, l’avrete fatto a me". Donano al povero, quindi, tutto quello che avevano trovato nella dispensa. E dico “tutto”, al rischio di restare loro stesse senza pranzo o senza cena. Questo, però, non avveniva mai: prima della sera arrivava sempre qualcuno: compagne, amici, conoscenti, a portare viveri in abbondanza. Eh sì, il vangelo lo dice: "Date e vi sarà dato". Esse applicavano alla lettera la parola del vangelo ed Egli, Gesù, attuava alla lettera le sue promesse.

E quando non avevano proprio niente da donare ai poveri, avevano letto nel vangelo: "Chiedete ed otterrete". E arrivavano subito dei barattoli con latte in polvere, marmellate, legumi, ortaggi… Legumi e ortaggi arrivavano pure a me ed io li portavo subito alla ‘casetta’. Era necessario, perché in quel periodo, in seguito a un bombardamento che aveva colpito un’ala dell’Ospedale, non essendo più sicuro, avevano trasportato attrezzature e ammalati all’Ospedale di Pergine e io ero stata inviata in servizio al rifugio di San Martino.

San Martino era una zona molto a rischio perché in linea d’aria vicinissima alla rete ferroviaria, che era continuamente bombardata. Naturalmente anche qualche casa veniva colpita, per cui molte famiglie rimanevano senza tetto e, chi non aveva parenti o amici nei paesini vicini a cui chiedere asilo e ospitalità, era stato costretto a portare una brandina nel rifugio e viverci dentro giorno e notte. Io allora, a mezzogiorno, uscivo dal rifugio e andavo alla “casetta” dove, con i legumi e le verdure avevano preparato un abbondante minestrone in un grande tegame a due braccia. Per cui aiutata sempre da qualcuno lo portavo nel rifugio, e così potevo offrire a tutti quegli affamati una porzione di minestra calda.

Insomma, queste mie compagne donavano proprio tutto. E come dovevamo comportarci noi, desiderose di imitarle nel loro modo di vivere, affascinate pure noi dalla Parola del Vangelo?

Per prima cosa, sarebbe stato bene liberarci di tutto quello che ritenevamo superfluo. Che me ne facevo io di una pelliccia, oppure della racchetta da tennis, di una collezione di francobolli, un braccialetto d’oro…? Era bene vendere tutto questo per mettere il ricavato in comune. Guardavamo con ammirazione e desiderio a quella prima comunità cristiana in cui tutti i beni venivano messi in comune per cui nessuno si trovava nell’indigenza e dove c’era un cuor solo ed un’anima sola.

Un giorno un mio zio mi porta un paio di scarpe troppo strette per lui. “Potranno servire a un tuo povero”. Corro nella “casetta”, ma quella mattina non trovo nessuna delle mie compagne. Metto sotto il braccio il pacchetto e mi dirigo verso l’Ospedale dove lavoro. Durante il tragitto incontro proprio Chiara che usciva dalla chiesetta di Santa Chiara. “Proprio te, Chiara – le dico – ho un paio di scarpe per uno dei tuoi poveri”. “Ci volevano proprio – mi risponde –. Mi sai dire il numero?”. “Certo, portano il numero 42”. “Proprio quelle di cui avevo bisogno!”, esclama con gioia. Io ero ignara di tutto: non sapevo che, la sera prima, un povero aveva chiesto a Chiara un paio di scarpe di quel preciso numero. Chiara, mossa dall’amore, gliele promette. E in quella chiesina si era rivolta con grande fede al Crocefisso: “Gesù, ho bisogno di un paio di scarpe da uomo, numero 42, per Te nel povero”. Uscendo aveva trovato me che le offrivo proprio quanto aveva appena chiesto! Il Signore mi aveva usata come strumento per esaudire la preghiera di Chiara.

Per la mia attività clandestina e patriottica una volta in settimana io mi dovevo recare a Bolzano, dove c’era il Command Entour. Nelle carceri avevamo anche dei nostri compagni. Io normalmente portavo in un posto indicato e da noi ben conosciuto dei viveri per questi carcerati e anche degli indumenti di lana, soprattutto per le persone nel campo di concentramento, perché sapevo che soffrivano il freddo. Inoltre vi andavo per assumere informazioni. Dovevo essere a conoscenza per poi comunicarlo ai miei compagni, se qualcuno dei nostri amici prigionieri, sotto le torture, avessero pronunciato dei nomi. In questo caso, tornando a Trento, avrei dovuto riferirlo alle persone interessate, in modo che potessero sottrarsi alle ricerche delle SS.

Le prime volte mi recavo a Bolzano in bicicletta, poi avevo trovato un mezzo più semplice e meno faticoso. Mi fermavo ai margini della strada provinciale da dove passavano moltissimi camion tedeschi. Alzavo la mano, uno di questi si fermava, mi issavano a bordo con la mia mercanzia e mi facevano poi scendere nelle vicinanze di Piazza Walter, a Bolzano. Quando arrivavo, la piazza era immersa nel silenzio più assoluto: era un’ora in cui generalmente sorvolavano gli aerei e le persone preferivano trovarsi nelle case perché più vicini ai rifugi.

Dunque io dovevo attraversare questa piazza. Il silenzio era il più assoluto: sentivo soltanto il ticchettio dei miei tacchi sul selciato. E mentre l’attraversavo ripensavo a quel brano bellissimo, evangelico, che avevamo letto insieme a Chiara, sul giudizio finale: “Avevo fame, e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dissetato, ero in carcere e sei venuto a visitarmi…”. Pensavo ancora: io avevo cercato di attirare Chiara alla nostra causa politico-sociale, essa invece aveva conquistato me.

E come vedete sono ancora qui!

 

Progetto Trento ardente

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Nel giugno 2OO1 Chiara torna a visitare la città natale e incontra politici, uomini di cultura, aderenti ai movimenti ecclesiali, imprenditori, comuni cittadini.

E’ a contatto con la città, nella componente civile ed ecclesiale;. che sente l'urgenza di comunicare un sogno coltivato da sempre, anche girando il mondo: vedere la sua città natale "ardente", vederla modello di fraternità. Un progetto che precisa: “Trento ha già tanto, se non tutto ciò che può desiderare una città moderna: un popolo coeso; ha le strutture civili e religiose necessarie alla sua vita. Forse le si potrebbe offrire qualcosa per renderla più bella ancora, più viva, più ospitale, più una, più modello di convivenza».

Anche perché quanti visitano Trento a causa del Movimento “possano vedere non solo luoghi, cose e testimonianze significative di quei primi tempi, ma trovare una città "ardente" dell'amore vero per una spiritualità di comunione vissuta da tutti. Una città che potrebbe mostrare e gridare come sarebbe il mondo se tutti vivessero il vangelo”.

Alla fine del soggiorno trentino l'operazione "Trento ardente" si delinea. Chiara ne comunica i dettagli a tutti i membri del Movimento, primi suoi interlocutori, ma non solo. Accanto a lei siedono sindaco e vicario episcopale per i laici, a testimoniare che è un progetto affidato anche alla città tutta. Si tratta di una realtà nuova con un auspicio: “un avvicinamento della mia città al disegno che Dio ha su di essa”.

Questo a Trento, città natale del carisma dell’unità, a cui la storia nei secoli ha anche consegnato una particolare vocazione di "città ponte", Ma nel suo percorrere il mondo, Chiara ha intravisto, quasi carpito una particolare “missione" in altre città, operazioni con aggettivi pieni di fascino: "RomaAmor" per la città eterna, i cui prodromi risalgono al'49, quando, camminando per le sue strade ricordava la testimonianza dei primi cristiani e la sognava tutta rinnovata dal Vangelo: “Lasciando vivere Dio in me e lasciandolo amarsi nei nei fratelli... il Fuoco si diffonderebbe in un baleno per Roma a risuscitarvi i cristiani e a fare di quest'epoca… l’'epoca di Dio».

Operazioni analoghe: "Fontem Regale", nel cuore della foresta camerunese tra popoli, prevalentemente' di religione animista; "Washington, per la fratellanza universale” per il dialogo interrazziale e interreligioso; "Praga d’Oro”, nella capltale mitteleuropea' E poi Genova' Londra e altre ancora.

Quale il loro senso? L’importanza di amare la propria città fino ad informarla tutta di fraternità' All'inizio “con le mie compagne avevamo preso di mira Trento: la volevamo trasformare anche dal punto di vista sociale' E qualcosa dovevamo aver fatto se dei comunisti sono venuti a chiedermi il segreto. La amavo con un amore particolare, come se il mondo fosse tutto lì… conoscevo Trento e i suoi quartieri e ciò aiutava molto per sapere come orientarsi e chi aiutare».

Amare, conoscere,  intervenire, trasformare. Tutto qui? No, l’obiettivo finale di queste operazioni nelle città è "offrire lo spettacolo di gente che ama, di gente che si ama». Con una precisa strategia: avvicinare le persone nei propri ambienti: i bambini negli asili, i giovani nell'università, le famiglie nei condomini, i colleghi negli ambienti di lavoro. Portarvi un amore personale, che va fino in fondo, che ama tutti, si fa uno. Esserne dei testimoni, prima.

Secondo, appuntamento per quanti lo desiderino all’incontro periodico, costitutivo dell'operazione, dove l’annuncio si fa esplicito con contenuti e testimonianze concrete di quella spiritualità di comunione che ha in sé il Dna della fratellanza universale.

Giovanni Paolo II non ha esitato a additare il nostro tempo come bisognoso di una nuova evangelizzazione, di un annuncio rinnovato del Vangelo, aggiungendo che “non può essere coerente né efficace se non accompagnato da una robusta spiritualità di comunione"'.

Le esperienze prodotte dalle operazioni in corso sono segno che la cultura della fraternità si fa strada nelle scuole tra bambini, insegnanti e genitori' penetra nelle famiglie, crea delle reti tra associazioni, unisce cittadini e istituzioni, anima i quartieri, solleva ambienti di sofferenza. E’ una realtà che trasversalmente unisce la città, destinata ad infittirsi e a restituirle un'anima.

Il dado dell'amore presentazione

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Il dado dell'amore  riporta sei frasi importanti da mettere in pratica per diventare costruttori di fraternità, di pace.

E’ semplice: leggi la frase scritta sulla faccia che ti appare.
Cerca di ricordartela e di viverla durante il giorno. Al tramonto, il mondo sarà un po' più in pace e l'avrai costruita anche dentro di te.
Provare per credere.


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