Cristiana Capotondi: «Chiara Lubich, un modello per quest'epoca incerta»

Avvenire

A inaugurare la nuova stagione della fiction su Rai 1 sarà, domenica 3 gennaio (in prima serata), Chiara Lubich – L’amore vince tutto, film dedicato alla fondatrice del Movimento dei Focolari nel centenario della sua nascita. Prodotto dalla Eliseo Multimedia di Luca Barbareschi e Rai Fiction e diretto da Giacomo Campiotti, il film è interpretato da Cristiana Capotondi: «Vestire i panni di un personaggio come Chiara è una responsabilità nei confronti di se stessi prima ancora che del pubblico. Sbagliare o, meglio, non capire un personaggio così sarebbe stata davvero un’occasione persa».

Un’occasione che lei, invece, ha vinto?

Sicuramente è stata un’esperienza totalizzante, mi porto dietro una grande spiritualità. Quello che spero, e che speriamo tutti noi che ci abbiamo lavorato, è che questo film faccia vedere una donna con una visione politica basata sull’unione e sulla fratellanza universale di cui oggi abbiamo tanto bisogno.

Conosceva Chiara Lubich prima di questo film?

Avevo sentito parlare di lei ma per interpretarla sono dovuta andare a scuola: ho guardato documentari, ho letto i libri, i diari e le lettere che scriveva alla madre e alle sorelle. Ho scoperto una donna con una grande dolcezza e una grande sensibilità. E, anche, una donna con una grande visione lucida che ha accompagnato la sua presa di coscienza su come portare in giro per il mondo il suo messaggio sulla fratellanza universale, ispirato alla preghiera di Gesù al Padre, “Che tutti siano uno”, che leggiamo nel Vangelo di Giovanni.

Durante la sua preparazione c’è qualcosa che l’ha colpita in modo particolare?

Una cosa che ho visto a casa di Chiara, a Rocca di Papa. Se si apre un mobile vi si trova una meraviglia tecnologica che risale agli anni Ottanta e che già allora permetteva a Chiara di fare quello che noi oggi, nell’era del Covid, facciamo sulle piattaforme come Zoom e simili. Con quel sistema lei riusciva a mettersi in contatto con tutti coloro che facevano parte del Movimento dei Focolari. Grazie a una tecnologia sperimentale che le era stata messa a disposizione perché era considerata una testimonial della comunicazione, lei arrivava in video e in voce e riceveva le voci delle persone con cui parlava. Lei aveva il desiderio di parlare con tutti e sapeva che c’era bisogno di condividere certi valori. In un’epoca come la nostra, in cui abbiamo smesso di farci domande e non riusciamo nemmeno ad affrontare certe tematiche, la figura di Chiara Lubich è fondamentale.

Ha avuto occasione di conoscere qualcuno del Movimento dei Focolari?

Sì, ed è stata un’esperienza bella e istruttiva. Con Alfonso Di Nicola abbiamo trascorso una giornata tipo dei focolarini. Con noi c’erano anche due studenti e insieme ci siamo presi cura di una famiglia bisognosa: abbiamo portato loro dei doni, abbiamo parlato, scherzato, riso. In poche parole, abbiamo condiviso, una cosa che abbiamo sempre meno occasione di fare, soprattutto con persone diverse da noi, perché purtroppo ci siamo abituati a erigere i nostri muretti. È qualcosa che mi piacerebbe ripetere... Devo dire che il rapporto con Chiara Lubich ti fa venire voglia di fare un sacco di cose.

I focolarini hanno collaborato al film?

Sì. Sono stati sempre con noi sul set a Trento, dove sono numerosi, e ci hanno regalato la loro forza. Abbiamo fatto insieme, diciamo così, il lavoro emotivo. Anche quella è stata una bella esperienza di vita.

Avete girato il film nell’estate appena passata, in piena emergenza Covid: mascherine, gel disinfettanti e tutto quello che ormai abbiamo imparato a conoscere anche sui set. Com’è andata?

So che può sembrare un paradosso ma la situazione ci ha aiutato. Venivamo dai mesi di lockdown, dai mille morti al giorno e questo ci ha dato la percezione di essere in guerra. Naturalmente lo dico con tutto il rispetto per chi la guerra l’ha fatta davvero, ma quella situazione ci ha aiutato a comprendere il tormento e il disagio che Chiara e le sue compagne hanno vissuto in maniera talmente profonda dentro sé stesse da desiderare di lenire le ferite degli altri.

Chiara Lubich è un simbolo del dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Lei proviene da una famiglia in cui questo dialogo in un certo qual modo si è realizzato.

Quello dei miei genitori è un bell’esempio di matrimonio misto anche se, tra i due, mia madre con il tempo si è un po’ ammorbidita. Hanno sempre avuto grande rispetto l’uno per l’altra anche sulle rispettive tradizioni e abitudini alimentari e una grande cura di noi figlie. Grazie a loro io mi porto dietro un grande bagaglio culturale, con alcune cose dell’ebraismo e alcune cose del cattolicesimo.

Che tipo di educazione ha ricevuto?

Un’educazione cattolica: sono andata a scuola dalle suore, ho frequentato gli Scout e la chiesa di Santa Maria in Trastevere con l’allora parroco monsignor Vincenzo Paglia. A prescindere da questo, penso di aver preso un po’ da tutte e due le religioni. Oggi sono una donna con una mia spiritualità personale, spero di essere una buona sintesi.

Dopo Chiara Lubich l’attende già un nuovo personaggio?

Ancora no. Posso dire, però, che io ho un debole per le Caterine: Caterina la Grande, Caterina de’ Medici, Caterina la madre di Leonardo da Vinci. Spero, prima o poi, di interpretarne una.